Gli sfratti nel sito archeologico di Angkor Wat, in Cambogia
Martedì Amnesty International ha pubblicato un rapporto critico sul governo cambogiano e l’UNESCO riguardo allo sfratto forzato di migliaia di persone che vivono nel parco archeologico di Angkor Wat, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO dal 1992. Secondo Amnesty, gli sfratti violano diverse leggi nazionali e internazionali e l’organizzazione ha chiesto l’intervento dell’UNESCO.
Angkor Wat è un vasto sito archeologico costruito nel XII secolo, occupando una superficie di circa 400 chilometri quadrati. Al suo interno vivono migliaia di persone, molte delle quali da generazioni. Il rapporto di Amnesty si concentra sugli sfratti nelle zone 1 e 2, dove si trovano i principali monumenti e rovine.
Gli sfratti riguardano circa 10.000 famiglie, equivalenti a circa 40.000 persone. Secondo il governo, il ricollocamento avviene su base volontaria, ma molti residenti affermano di essere stati costretti ad andarsene. Amnesty ha intervistato 111 persone e la maggior parte di esse ha riportato minacce e abusi da parte delle autorità.
Le divisioni delle zone di Angkor Wat sono state definite due anni dopo l’iscrizione del sito nella lista del patrimonio dell’UNESCO. È stato vietato costruire nuovi insediamenti nelle zone 1 e 2. Per quanto riguarda gli insediamenti già esistenti, si è deciso di “preservarli” nella zona 2 e di fornire terreni e risorse economiche per spostarsi altrove nella zona 1. Tuttavia, queste norme erano poco chiare e contraddittorie e fino allo scorso anno nessuno era stato allontanato dalle zone protette.
La situazione è cambiata alla fine del 2022, quando il governo cambogiano ha voluto promuovere il turismo dopo il calo dovuto alla pandemia. Angkor Wat è una destinazione molto visitata e rappresenta una fonte importante di entrate per l’economia locale.
Secondo Amnesty, le persone sfrattate sono state trasferite in due aree situate a circa 30 chilometri dal sito archeologico, fornendo loro denaro e materiali per costruire nuove case. Tuttavia, Amnesty afferma che queste risorse sono insufficienti e le nuove aree sono carenti di infrastrutture come strade, acqua, elettricità e servizi igienici.
I residenti di Angkor Wat sostengono di essere stati sfrattati con poco preavviso, sotto minacce e intimidazioni. L’UNESCO ha risposto al rapporto affermando di non poter intervenire in questioni politiche e che il suo ruolo si limita a fornire consulenza per lo sviluppo e la preservazione dei siti culturali.
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